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sabato 4 febbraio 2012

La corruzione dell'inettitudine


di Anna Lombroso

Come quando Venezia affoga nell’acqua alta che i tg cretini definiscono ‘’ suggestivo fenomeno’’, anche a Roma le prime immagini che corrono sono domestiche: incantano i giapponesi nel colosseo imbiancato, i ragazzini che fanno i pupazzi di neve. Ma presto anche Roma affonda nel ridicolo di un sindaco sempre impreparato a prevedere il prevedibile anzi il già annunciato, di una macchina di servizi inadeguata, di cittadini maleducati alle emergenze come ormai sono sprovveduti nella quotidianità.
Vetere venne travolto dalla nevicata dell’’85. È invece probabile che nulla cambi per Alemanno. Pare che siamo ormai così blasè da sopportare malmostosamente ma pigramente qualsiasi cosa ci cada addosso dall’alto, neve, pioggia, soprusi, incompetenza, crimini. E se non è stato investito dagli scandali dell’Atac, delle cattive compagnie tornate dal passato, dalle smanie di fare il tirannello urbano, è probabile si salvi anche stavolta. Anzi è possibile che come ormai è costume nazionale, possa approfittare di crisi incancrenite per collocarsi ben saldo nell’emergenza con procedure d’urgenza, ordinanze speciali, commissariamenti autoritari, provvedimenti liberticidi.

Certo il verminaio della Margherita ha l’effetto collaterale di esimerci dal rimpiangere l’età dell’oro di Rutelli, un moderno Pericle rispetto al camerata Alemanno e che magari, forse, si sarebbe fatto prestare un po’ di spazzaneve e probabilmente avrebbe saputo che il sale non si usa solo in cucina.
Forse, perché lo spettacolo del suo volto terreo e teso, la voce rotta in una discolpa poco credibile, di quelli che fanno pensare se non è correo è idiota lascia pochi dubbi sulla sua competenza di oggi e di ieri, sulla pretesa incapacità di uno che è stato sindaco di leggere un bilancio, per un leader di giudicare e controllare i suoi collaboratori. Né può salvarlo dall’ignominia la difesa schizzinosa preferita nell’era post tangentopoli: il denaro è una cosa sporca che contagia, lo lascio trattare ad altri. Non guardare per lasciar fare è una forma minore ma non meno colpevole di complicità e collusione. E in questo risiede la questione morale, nell’aver subito troppo, più o meno consapevolmente, più o meno entusiasticamente, contribuendo sia pure non direttamente a elevare i limiti di tolleranza della “licenza”, dell’irregolarità fino all’illegalità e alla criminalità.
Si guarda l’iceberg in superficie, i vitalizi, i furti visibili, i costi della politica come se gli sprechi vertessero sul remunerare troppo troppi pessimi rappresentanti. E non sulla dissipazione che deriva dall’incompetenza, dalle scelte inappropriate, dall’inefficienza, che rappresentano l’anomalia italiana anche nel campo della corruzione: mazzette su depuratori mai realizzati, su ospedali vuoti che si sgretolano in mezzo a campagne desolate, su strade che finiscono in un inquietante nulla, su palazzoni pubblici per uso molto personale. Si colloca la corruzione nella “retorica” della crisi morale, come se si trattasse di uno degli effetti dell’eclissi di un’etica pubblica. Mentre è sempre più evidente che è una delle ricadute più patologiche delle insufficienze della democrazie rappresentativa, delle storture di un sistema partitico che come in un circolo vizioso si nutre o è omertosamente complice dell’illecito che a sua volta lo ricatta, nutrendo il circuito dei soprusi, delle “costrizioni” e delle disuguaglianze, inducendo illegalità come fosse una fisiologica “difesa” dei marginali che vi si arrangiano dentro
.
Ma è proprio a questa corruzione, che è corruzione della democrazia, devono attribuirsi molte delle responsabilità della crisi economica e della incapacità di gestirla, perché si tratta di una tremenda e potente componente della disgregazione dello stato sociale e un elemento trascinante della “spesa” pubblica.
Per anni anche i partiti del centro sinistra hanno disinvoltamente e ipocritamente liquidato la questione come se si fosse in frutteria a scegliere tra mele sane e mele marce, mentre è ormai evidente da anni che si tratta di una rete “nazionale” di illecito, di un vero e proprio sistema di arricchimento alimentato e coperto anche da norme specifiche, come quella sulla Protezione Civile. E che il furto delle risorse pubbliche, in una fase di emergenza costituisce una slealtà, un crimine e una formidabile voce di spesa solo apparentemente occulta e esplicitamente tollerata da correi, da favoreggiatori o da aspiranti tali.
E infatti non a caso non esiste una letteratura contabile e statistica che confermi la relazione diretta tra regime democratico e sviluppo economico; quella stabilita dagli studiosi è solo una relazione indiretta. Ma ci sono invece dati certi sulla relazione, diretta e di causa effetto tra corruzione, crescita economica e benessere generale.

Se è provato che indirettamente la democrazia serve a mitigare gli effetti economici negativi della corruzione, è ancora più vero che la triangolazione di questi tre fattori - democrazia, sana politica, sviluppo economico – contesta la tesi che la corruzione rappresenti un incidente se non una aberrazione limitata e episodica a carico di singoli trasgressori. Invece l’impoverimento va insieme alla corruzione se essa è "l´abuso dei pubblici uffici o delle funzioni pubbliche per scopo di arricchimento" di privati o/e di gruppi.
Lo scambio di favori agevola privati che operano nell´impresa, in quella delle costruzioni o industriale, commerciale o dei servizi: come un baro, il corruttore trucca il gioco e si arricchisce con e a spese di tre cose, il denaro dei contribuenti, le leggi e le norme, i potenziali competitori. Prestando attenzione a questa terna (fatale in tutti casi di corruzione) si intuiscono gli effetti devastanti che la corruzione ha sull´economia di un paese. E siccome nel caso della corruzione il danno è sempre fatto a tutte e tre insieme le vittime (le finanze dello stato, le leggi, il mercato) risulta evidente che davvero la corruzione esercita una pressione potentissima sulla società democratica impoverendo l´intero sistema.
Impoverisce per l´ovvia ragione che si alimenta con i soldi che sono di tutti e che violando la trasparenza delle regole (per esempio quelle per l´attribuzione di appalti nelle Grandi opere o nei lavori pubblici ordinari) fa saltare il principio che presiede al contenimento dei costi: competenza su un piede di parità, costituendo un vero e proprio attentato monopolistico all´economica di mercato.

Dovrebbero temere questa aberrazione quelli che magnificano le promesse e le regole del neoliberismo: efficienza, de regolazione, primato del libero mercato. Nel suo clima esasperato, con il primato della flessibilità e della precarietà, con i diritti delle nuove generazioni più incerti e le conquiste del lavoro più labili, il sistema dei rapporti sociali e politici clientelari si sia reinventato con una terribile potenza innalzando i livelli di tolleranza della corruzione e dell’illegalità. La de-moralizzazione del capitalismo ha proprio contribuito a recidere tutti i rapporti tra cultura e politica, fra politica e idee e tra politica e interesse generale. E ha annichilito pensiero, reazione, partecipazione costringendoli nell’angusta aspirazione a piccoli privilegi, all’accumulazione di beni effimeri, in un isolamento dalla partecipazione, perfino dalla rivendicazione, dalla rappresentanza e dalla democrazia.
In questi mesi il gioco preferito dagli italiani è paragonare vecchi e nuovi regimi, consolandosi perchè quello odierno è meno sfacciato, meno volgare, meno pacchiano. A me non basta. Un oligopolio vale un altro e una plutocrazia sobria non fa meno danni di una esuberante.

A ogni scandalo ci si chiede se sia una nuova Tangentopoli: ma la “nuova” disgregazione del sistema presenta un elemento chiave di continuità rispetto a quella “vecchia”, svelata con grande scandalo all’inizio degli anni novanta. E’ ancora una corruzione sistemica. E’ una corruzione nella quale le scelte, le condotte, gli stili, le movenze degli attori sono incardinati entro copioni prefissati, seguono regole codificate, assecondano moduli familiari. E’ una corruzione regolata nella quale appaiono tuttora in vigore – proprio come nelle storie svelate da di mani pulite – norme di comportamento che realizzano alcune funzioni cruciali: facilitano l’identificazione di partners affidabili; differenziano i ruoli nelle aggregazioni di corrotti e corruttori; accrescono i profitti attesi dei processi decisionali, attenuano l’eventuale “disagio psicologico” dell’illegalità; emarginano o castigano onesti e dissenzienti; socializzano i nuovi entrati alla “legge” della corruzione.
Ancora una volta è illusorio pensare che anche questa degenerazione si combatta standoci dentro, agendo nelle sue pieghe e nei suoi interstizi. Bisogna ribaltare l’edificio, scardinarlo a cominciare dalle sue fondamenta che sono quelle del profitto. E di un accidioso piegarsi al potere, sperando di guadagnarci qualcosa, briciole senza diritti.

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