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sabato 10 dicembre 2011

L'Italia unita delle mafie


di Anna Lombroso

C’era un tempo nel quale alcune popolazioni italiane erano compiaciute di aver vinto a quella lotteria naturale che aveva consentito loro di nascere e vivere nelle propaggini dell’Europa opulenta, regioni affini al grasso Belgio, mentre altri erano “separati”, in quello che Croce definiva un paradiso abitato da diavoli, dove regnava un cupa grandezza arcaica, quella della criminalità fieramente tenace nella pretesa di una costruzione autonoma di ordinamenti incivili opposti alla legittimità di quelli statali.
Rifare l’Italia era Il titolo di un celebre discorso pronunciato alla Camera da Filippo Turati il 26 giugno del 1926. Ma mai come di questi tempi oscuri le sorti delle due parti di cui si compone il paese sono sembrate più lontane. Mai esso è sembrato così pericolosamente lungo e così insidiato dal rischio di una decomposizione territoriale. E non basta l’istituzione di un ministero della coesione per sradicare giudizi sommari e pregiudizi volgari e se, come ha ricordato qualche giorno fa il Simplicissimus, si perpetua una pratica di elargizioni assistenzialistiche favorevoli alla proliferazione di iniziative clientelari e all’incrudelimento della contrapposizione retorica tra il risentito localismo nordista e il vittimismo risarcitorio del Sud.

Ci ha pensato la crisi economica, sociale, politica e morale a rendere più reale la minaccia di riunire la nazione in un unicum aberrante, un “Mezzogiorno d’Europa”, centro cruciale e vulnerabile della grande rete della criminalità mondiale. Altro che concretizzazione dell’ ispirazione risorgimentale, quella dei Cattaneo, dei Dorso, dei Salvemini, in quel sodalizio, in quel patto storico tra il Nord e il Sud, in grado di saldare finalmente l’Italia in una autentica unità nazionale. Proprio il recente arresto eccellente di Zagaria ha la sinistra potenza simbolica e dimostrativa di testimoniare che la criminalità organizzata si è insinuata negli interstizi finanziari, si è posata con il favore di molte insospettabili complicità negli ampi alvei della corruttela in tutto il Paese. Che siamo usciti dalla letteratura dei padrini e picciotti che ha gratificato noi, gli onesti, compiacendoci delle nostre certezze, delle nostre liturgie, dei convegni, delle commemorazioni, dei libri, delle analisi. Mentre loro, i criminali, agiscono nell’impunità mirando a profitto e potere con procedure e metodi che si sono profondamente innovati: attività imprenditoriali collocate nell’economia reale attraverso un intreccio di partecipazioni azionarie, joint venture, investimenti immobiliari, nel quale il traffico di droga è solo una voce di profitto rispetto al controllo soffocante sulla spesa pubblica.
E è cambiata la fisionomia dei loro “amici”: una volta quelli che favorivano, proteggevano, coprivano, restavano nell’ombra, fuori dall’organizzazione. Oggi ne sono un pezzo, partecipano in prima persona e a pieno titolo primari, amministratori, parlamentari, commercialisti, banchieri o bancari, operatori in doppiopetto e colletto bianco, capaci di coprire tutte le esigenze della filiera malavitosa: sparare, riciclare, progettare, approvare, firmare, mettere in cima o in fondo alla pila di permessi, fatture, autorizzazioni.

È cambiata la territorialità e anche la mappa del capitalismo mafioso e criminale, i suoi teatri e i suoi luoghi. Passa dall’economia del racket, dell’estorsione, del contrabbando, del controllo della prostituzione, del traffico della droga, ai nuovi comparti: ciclo dei rifiuti, cantieri autostradali, convenzioni sanitarie, rifacimenti delle reti ferroviarie, cantieri di carceri e caserme, centri commerciali, bretelle autostradali. Ma anche l’Expo, i finanziamenti comunitari, il borsino dei precari e le cooperative sociali.
Zagaria è stato arrestato nel suo paese, è vero, con un’operazione che maliziosamente si potrebbe definire a orologeria, ma troppo precoce ed estemporaneo per confortarci sulla volontà del governo di intervenire non solo con muscolarità nella lotta alla criminalità organizzata. Ma il camorrista costruttore, imprenditore aveva una rete di relazioni estesa e ubbidiva a comandi vicini e lontani , ben oltre l’area di influenza dei Cosentino, dei Cesaro, dei Tarantino, dei Lavitola e dei loro amici importanti, ben oltre i suoi interlocutori autorevoli.


Nella “Padania” pingue, potente e influente la criminalità condiziona il sistema degli appalti, le gare, il settore dell’edilizia, quello dell’energia, i cantieri, le discariche, le attività di movimento terra e la gestione della cave. E è l’area dove vengono monitorati i più cospicui flussi di denaro sospetto. Secondo Nicola Gratteri la sola ‘ndrangheta opera in sedici regioni e ha collegamenti in altre tre e che sarebbero almeno tredici i politici lombardi sorpresi a tessere rapporti con essa. E secondo la Commissione Parlamentare la penetrazione della criminalità nelle regioni italiane e in particolare in quelle del Nord è capillare tanto da aver raggiunto un livello di integrazione profondo con il contesto sociale, economico e politico e tanto profondo da essere accettata come un fatto normale dalla pubblica opinione.
Si tratta di processo malato di adeguamento conformista e sleale a standard elevatissimi di illegalità, facilitati dalla pratica del rimescolamento di pubblico e privato che ha eroso l’autorità delle istituzioni, esaltato dall’impoverimento generale a detrimento del senso della legge e di quello della giustizia anche sociale, promosso dall´incremento dell´evasione fiscale dalla pratica trasversale e ormai strutturale della corruzione in una specie di divorzio tra governo della legge e governo delle convenienze, dove per governo delle convenienze non deve intendersi ciò che è prudente o necessario per il bene del Paese, ma ciò che è utile al fine di consolidare o proteggere opachi legami di potere e interesse tra individui o gruppi sociali. Quando gli affari di stato sono trattati come affari di partito e gli affari di partito come affari personali è facile far passare l’impunità per garantismo.
Non è formale la preoccupazione del persistere di più o meno latenti conflitti di interesse, che perpetuano questa tendenza. E non è retorico affermare che la necessità non giustifica né deve legittimare le disuguaglianze: dove c’è iniquità vengono alimentate la discrezionalità e la arbitrarietà, la stessa che fa preferire l’accanimento sui già colpiti risparmiando potentati intoccabili, mascherando la scarsa determinazione da impotenza, come nel caso dell’incremento del prelievo sui capitali scudati.
Non può bastare l’equità fatta roteare come una muleta per confondere la collera, qualche espediente poco sapiente per convincerci che anche i ricchi possono piangere.

La discontinuità con un governo che aveva fatto dell’illegalità e dell’illegittimità la sua cifra, deve dimostrarsi con il ripristino delle garanzie del rispetto delle leggi, della tutela della qualità delle istituzioni e della loro autorevolezza. Con misure concrete di lotta all’evasione, alla corruzione, alla irrisione del diritto e dei diritti. A cominciare dagli interventi pensati proprio per colpire quella circolazione di denaro tossico, che non può limitarsi alla limitazione delle operazioni in contante, un pannicello sulla piaga della opacità e del malaffare.
In questi giorni il capo della Direzione Investigativa Antimafia, D'Alfonso, è stato ascoltato dalla Commissione parlamentare di indagine. Di fronte ai tagli non solo economici consumati sul suo organismo, limitati solo dalla reazione tenace e decisa degli uomini e delle donne della Dia, si è detto “soddisfatto” e “comprensivo”, come se le risorse destinate alla lotta alla criminalità fossero una benevola elargizione e non la condizione necessaria per condurre una guerra che altrimenti si svolge, come si è svolta finora, ad armi impari.
C’è da temere che a qualcuno si addica che questa lotta venga affidata a organismi depauperati, avviliti, umiliati, quindi più manovrabili e inclini ad assecondare comandi iniqui.
Mentre invece la legalità, come l’equità per non essere disuguali, non possono essere profezie disarmate.

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