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lunedì 3 ottobre 2011

Venezia, l'acqua alta dei turisti

di miss Apple


Direte che son una marantega (strega, nota di traduttore), ma io ieri anche se era domenica sono andata in giro con il carrello della spesa. No’ per far esercizio, noialtre veneziane siamo brave lo tiriamo su e zo per i ponti piova o bel tempo e quando il carneval gera carneval si vedevano signore in maschera e bauta col caretto che spuntava la cicoria come un mazzo di fiori.

No el carretto lo portavo per darlo sui pie dei foresti (stranieri, nota di traduttore). Perché Venezia sarà stata la città dell’accoglienza, un melting pot come dice la gente di cultura, pronta a ricevere, per il suo interesse se sa ma anche per curiosità, perché tutti passavano di qua e lasciavano qualcosa, arte, roba bona da magnar, stoffe, spezie, libri e un pochetto de cuor, quello si perché che veniva qua poi sta città se la portava nell’anima. Ma adesso è un teatro di odio, i veneziani odiano i foresti e i foresti odiano gli indigeni.
 E’ stato un weekend terribile: un’invasione di migliaia di turisti, un impressionante numero di persone che girovagavano, quasi senza meta, intasando calli, campi, vaporetti.

Questo progetto di rendere Venezia una città per soli turisti, una Disneyland o una Las Vegas con pochi locali come comparse al cine, a me, a noialtri non piace. Per carità ammetto di non aver a che fare col turismo: turisti o non turisti io vivo lo stesso, ma il punto non è il mio guadagno turisti free, il punto è voler bene alla città che mi ha visto nascere e crescere: giocavo in campo, in riva degli schiavoni, andavo per passeggiate a san marco, a veder i siori che magna el geato al todaro, in Mercerie a vedere le vetrine con le amiche, a san Bortoeo a veder i fioi fighi e in campo San Stefano (a Venessia xè San Stefano no Santo Stefano) a veder i fioi ricchi. Era divertente crescere in una città che tutti consideravano quasi un sogno.
 Ho anche conosciuto il fenomeno turismo, durante la mia infanzia, la mia adolescenza, a noi ragazze non ci infastidiva, non era un turismo invadente, era giusto, quello che rompeva la routine della venezianità, un'invasione pacifica di persone che vedendo venezia vedevano una città e non un parco giochi. .
 Era un sogno e era un privilegio. Adesso è un incubo e una punizione.

Non penso venezia senza turisti, io desidero venezia con meno turisti! E con turisti educati, che non vol dir che i sta in ponta de piron (in punta di forchetta, nota di traduttore). Vuol dire che se vengono qua devono rispettare una città fragile, delicata anche se ne ha viste tante. E invece per lo più vengono da invasori, da barbari, arrivano già stanchi in grossi pullman, sono spaesati si domandano perché non possono star sentai comodi sul torpedone e guardarsi da là fora dal finestrin la piazza i piccioni e el campanil.

 Per quello gli volevo dar el caretto sui piedi perché stanno là fermi spaesati confusi e noi li odiamo come loro odiano noi. Quando sono nata eravamo 110 mila residenti in centro storico, ora siamo meno di 60 000, la città sta morendo, è data in pasto al turismo selvaggio. E il peggiore è quello delle crociere di lusso, prepotenti e invadenti: sette navi in città significa avere più di 20 mila persone in giro per la città, senza dir dell’inquinamento anche visivo, perché è un’offesa veder quei condomini coprire quella delicatezza di san giorgio in bacino e entrar dentro allo stomaco della città.

 Ieri ho litigato con un paio di turiste, mi hanno detto che me ne devo andare da Venezia se non mi piacciono i turisti, che Venezia vive col turismo e che è in vigore la libera circolazione. Che tutti hanno diritto di andare dappertutto e godere della bellezza, che non ne siamo padroni e in fondo l’abbiamo ereditata come loro. Ma come fa a piacere anche a loro una città invasa, brutalizzata, sporca, dove tutti sono ospiti sgraditi.
Ecco una veneziana e altri veneziani come me viviamo in regime di carcerazione, in nome della libera circolazione, di speculatori e di un’amministrazione più attenta ai soldi che ai propri elettori. Ma anche vittime noi e i foresti dell’idea che le robe belle sono un bene di consumo per tutti. E che è come l’acqua, che alla fine non “si consuma” mai anche se ci vai con gli scarponi o gli zoccoli sui masegni, se butti i sacchetti in Canal, se respiri sui mosaici fino a appannarli per sempre. Se è un bene, ecco xe un “bene comune” come l’acqua e come l’acqua si sporca si inquina e la dobbiamo salvare per noi e per quelli che vegnara', no?

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